DALLA MATERNITA’ COME DOVERE ALLA MATERNITA’ COME DIRITTO PERSONALE

Vittoria Longoni

 

 

Capita  che l’espressione “diritto alla maternità” o “maternità come diritto”  venga automaticamente associata a qualcosa di preoccupante e negativo, a stereotipi opprimenti per la donna, a un’immagine inglobante e fusionale  del rapporto madre-figlio/a E  mi chiedo perché, quando si discute per esempio di diritto allo studio e al lavoro, o semplicemente di diritto di guidare l’auto, viaggiare ecc. la parola “diritto” è giustamente associata ai suoi sinonimi (=libertà, = autodeterminazione), mentre nel campo del diritto alla maternità questo spesso non avviene: si rischia di pensare automaticamente ad abusi o scelte irragionevoli, e di dare un giudizio implicitamente negativo su ciò che è invece, a mio giudizio, un passaggio fondamentale nel percorso, certo ancora complicato e non compiuto, della libertà femminile. La maternità come diritto della persona si oppone infatti, sia alla maternità come dovere, sia alla maternità come puro e semplice destino biologico e come istinto. E’ ovvio che le costruzioni giuridiche e sociali non bastino a esaurire questo ricchissimo campo del pensiero e della vita delle donne, ma possono dare una cornice che aiuta o che ostacola.
Il tema è stato riproposto, nei suoi risvolti  giuridici e nel suo significato generale, anche dalla discussione sulla fecondazione assistita e in particolare dalla sua forma eterologa, da poco autorizzata in Italia da una sentenza della Corte Costituzionale ma ancora pochissimo attuata.
La maternità come dovere della donna (verso il “ maschio fecondatore”, verso la specie, la società o lo stato, verso Dio, verso la famiglia o la morale o quant’altro) è stata una delle espressioni più retrive del patriarcato, diffusa nel comune sentire anche quando non codificato nelle leggi; un’idea che da noi era ancora diffusa nella prima metà del Novecento e che sanciva pesantemente l’equazione donna=madre. Poi, lentamente,  il nuovo modo di intendere le relazioni familiari e il diritto di famiglia, il nuovo profilo dei diritti personali, le lotte per l’accesso al divorzio e all’interruzione di gravidanza, le lotte sia per l’emancipazione femminile che per la liberazione delle donne, la presa di coscienza e di parola operata dalle varie forme di femminismo hanno per fortuna concorso a superare questo schema.
Si è progressivamente affermato in Italia un orizzonte giuridico più  favorevole dell’autodeterminazione delle donne nel campo della sfera procreativa. La procreazione come diritto personale, costituzionalmente protetto, connesso con il diritto alla salute, implica libertà e responsabilità sia per gli uomini (che hanno ovviamente un  coinvolgimento ben diverso del proprio corpo), sia per le donne, come diritto alla  libera scelta della maternità e possibilità di accesso ai procedimenti medici che la rendono più probabile e più facile. Una delle tappe importanti in proposito è stata proprio la legge 194, quella che ha promosso la cultura della contraccezione  e autorizzato la facoltà di abortire per le donne  e che non a caso inizia, nel suo primo articolo, con le parole “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”. Diritto di procreare, contraccezione, e possibilità di interrompere una gravidanza  subita o pericolosa per la propria salute e per il proprio progetto di vita, sono giustamente andati a braccetto. Il diritto infatti stabilisce una sfera di libertà. Le donne possono avere la regìa, la sovranità nell’esercitare una importante funzione e potenzialità del loro corpo e della loro persona, conciliandola ovviamente con tutti gli altri loro diritti  e  coi diritti di altri. Libertà di essere madri significa automaticamente anche piena libertà di non-esserlo.
Diritto alla maternità significa anche riconoscerle uno statuto personale, “pienamente umano”. Essere madri non è un destino biologico, da affidare al caso, un puro e semplice evento di natura, la risposta a un istinto della specie. E’ una libertà importante e una scelta, certo carica di conseguenze e di responsabilità. Una gravidanza può avere difficoltà e complicazioni, e la mortalità per parto in Italia non è pari a zero, e non si tratta solo di casi di malasanità o di donne troppo avanti negli anni. La responsabilità verso i figli comporta un carico che le donne possono ovviamente rifiutarsi di assumere, quando rinunciano a mettere al mondo un altro essere umano e ad allevarlo ed educarlo. Ma è uno dei campi più importanti in cui la personalità di una donna (e di un uomo) si può esprimere nel mondo; un  possibilità diversa anche da tutte le altre forme di genitorialità sociale o simbolica. Dire a una donna con problemi di fertilità che le sono possibili queste altre forme può certo contribuire a rasserenarla, ma la maternità simbolica è accessibile a tutte le donne – anche a quelle che hanno già 8 figli naturali-, mentre la difficoltà  a concepire e partorire costituisce comunque una limitazione, una minore libertà di scelta. Ricordarle che una donna può benissimo realizzarsi anche senza essere madre é ovvio e positivo, ma non si può ignorare o sottovalutare il desiderio di maternità fisica, né considerarlo automaticamente come un desiderio  sfrenato, il  volere ciecamente “un figlio a ogni costo”, un semplice istinto.
Bisogna riparlarne oggi anche perché in Italia la maternità da diritto rischia di trasformarsi in privilegio. Molte giovani donne hanno difficoltà a rendersi indipendenti dai genitori, ad avere una casa e un lavoro, a costruire un progetto genitoriale autonomo. Molte madri dopo il primo figlio perdono il lavoro o vengono demansionate  in modo pesante. Molte ragazze sono di fatto costrette a un’opzione drastica tra maternità e professione. Molte madri vivono nell’isolamento, prive di sostegni familiari e sociali, in contesti che accentuano sofferenze, disagi, sensazioni di inadeguatezza. L’Italia non è un paese per madri, per il semplice fatto che l’occupazione femminile è tra le più basse in Europa, ed è ancora molto alto per le donne l’impegno nel lavoro gratuito di cura e poco attuata la condivisione dei carichi familiari col partner; e invece  stereotipi ancora diffusi propongono un modello di maternità perfetta e onnipresente, a cui una donna dovrebbe sacrificare tutte le proprie aspirazioni e diritti, e intervenendo continuamente nella vita dei figli con uno stile ben  diverso da quello che seguono, con migliori  risultati  per sé e per i figli, molte madri dei paesi del nord-Europa.
Insomma nel campo della maternità bisogna allargare i diritti e rispettare le scelte! E contrastare i giudizi sommari e taglienti, verso le non-madri, verso chi abortisce, verso chi decide di affrontare il percorso della fecondazione assistita, verso le donne che vivono la quotidiana complessità di mettere d’accordo le proprie diverse aspirazioni, e anche verso la maternità come diritto, che ancora viene associata a qualcosa di negativo anche da parte di donne e di femministe.

 

18-gennaio-2015